Seeing is believing, addio! Con l’avvento delle recenti tecnologie basate appunto sulla cosiddetta Intelligenza Artificiale Generativa, sarà sempre più complicato per gli esseri umani, per loro natura intrinsecamente “analogici”, riuscire a distinguere un contenuto multimediale fake da uno reale.
Molteplici sono gli esempi che si susseguono, oramai ad un ritmo frenetico, in cui vuoi per gioco, vuoi per profitto o per fama/vendetta, in contesti pubblici e/o privati, i deepfake vengono utilizzati e diffusi sui vari canali social e non solo. I nostri sistemi cognitivi non sono oramai in grado di cogliere alcuna differenza sostanziale “percettiva” ed infatti, rimaniamo stupiti nel ascoltare voci sintetiche, volti animati perfettamente integrati e indistinguibili dal presunto originale.
Recenti studi hanno inoltre dimostrato come il famoso Test di Turing, orientato a verificare se solo tramite chat fosse possibile decidere della presunta “umanità” dell’interlocutore, sia destinato a fallire nel breve termine.
Il termine deep sta a sottolineare la strategia computazionale utilizzata in ambito AI, per addestrare Reti Neurali Artificiali cosiddette “profonde”, cioè con un numero di parametri intrinseci particolarmente elevato, e soprattutto ideata con la capacità di analizzare ed “imparare” strutture, pattern e correlazioni nascoste negli altrettanto numerosi dati di ingresso, forniti come esempio. Potremmo citare a tal scopo, proprio per rimanere su temi di cronaca recente, Now and Then dei Beatles, oppure la foto di Papa Francesco con indosso il piumino bianco. Ma gli esempi sono destinati a crescere, a tal punto che qualcuno profetizza che le future camere digitali dei nostri smartphone potrebbero essere sostituite “grossolanamente” da appositi AI-tools che generano immagini/video a comando.
Senza dilungarsi sui dettagli tecnici che stanno alla base di tali “meraviglie”, possiamo altresì sintetizzare il fatto che le moderne macchine basate sul cosiddetto Deep Learning generativo e, più di recente, grazie al supporto dei cosiddetti Foundational Models (stile ChatGPT per intendersi), sono in grado di analizzare quantità inimmaginabili di esempi e, mediante tecniche “adversariali” o pseudo tali, generare contenuti “credibili” con una qualità percettiva mai vista prima.
Se a questo aggiungiamo la cosiddetta “democratizzazione della produzione audiovisiva”, intendendo con ciò che i tools di sviluppo AI-based sono alla portata di tutti perché resi disponibili a basso costo, possiamo affermare che la certificazione della cosiddetta autenticità di un segnale multimediale diverrà sempre più attuale e complicata.
D’altra parte gli addetti ai lavori stanno già rilasciando opportuni adeguamenti alle best practice di settore, in cui in analogia a quanto fatto finora, si va alla ricerca con metodi tradizionali o con ulteriori tools basati sempre su AI, di tracce dell’“innaturalezza” dell’informazione rappresentata nel segnale da analizzare.
Per quanto le macchine siano in grado di ingannare il nostro vetusto occhio biologico, non tutte le innumerevoli statistiche naturali sono riprodotte fedelmente, per cui il buon caro vecchio investigatore/tecnico forense ante-litteram è ancora necessario, utile e determinante nella risoluzione di diatribe sulla presunta autenticità di clip multimediali.
Il futuro ovviamente è da scrivere. Anche in questo caso però dobbiamo assolutamente ribadire come le scoperte scientifiche e la comunità accademica siano assolutamente da considerarsi come stabile approdo cui affidarsi per garantire l’utilizzo consapevole, trasparente e ove possibile sicuro e scevro da potenziali bias di sviluppo e/o dei dati utilizzati delle attuali e future macchine calcolatrici AI-based.
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