Legal Experience: la vera rivoluzione non è l’ambiente digitale ma l’esperienza pop

Introduzione: umanocrazia vs burocrazia

Di Marco Giacomello

Per dimostrare, ad operatori del diritto e aziende, come sia possibile rivoluzionare le modalità attraverso le quali raccogliere, analizzare e risolvere problemi giuridici, dobbiamo partire da un punto fermo: il mercato legale è già cambiato.
Oggi possiamo scomporre e fornire attività legali attraverso modalità alternative, utilizzando lo strumento più efficace possibile. Possiamo infatti trovare servizi legali personalizzati, standardizzati, esternalizzati e sistemizzati. Per andare oltre, nel suo significato più concreto, dobbiamo fare un passo in avanti, tornare ad ascoltare. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare il modo nel quale le cose sono sempre state fatte. Un nuovo rapporto tra aziende, utenti e mondo del diritto è oggi realmente possibile.

Questo però da solo non basta. È imperativo avvicinare differenti competenze, farle comunicare e unirle laddove possibile sviluppando principi di progettazione multidisciplinari e collaborativi, ma anche strategie e modelli utili a definire i prodotti. Termini come blockchain, smart contract, big data e intelligenza artificiale stanno finalmente entrando nella mentalità dei giuristi. In questo particolare periodo, dove lo stravolgimento è all’ordine del giorno, è fondamentale dare una “spinta gentile” per pungolare un mercato troppo spesso fermo a tempi, modalità, processi e fee non più attuali ed attuabili.

La flessibilità e l’abbassamento dei costi ci permettono di utilizzare la tecnologia per gestire rapporti, creare e certificare documenti e procedure. È essenziale ritrovare una semplificazione del linguaggio e utilizzarlo per guidare una riprogettazione dei servizi legali, portandoli a diventare prodotti. Un simile percorso deve essere guidato da una strategia che metta al centro dell’interazione il tocco umano, il nuovo strumento di differenziazione, il vero vantaggio competitivo.


La flessibilità e l’abbassamento dei costi ci permettono di utilizzare la tecnologia per gestire rapporti, creare e certificare documenti e procedure. È essenziale ritrovare una semplificazione del linguaggio e utilizzarlo per guidare una riprogettazione dei servizi legali, portandoli a diventare prodotti. Un simile percorso deve essere guidato da una strategia che metta al centro dell’interazione il tocco umano, il nuovo strumento di differenziazione, il vero vantaggio competitivo.
La confezione, la grafica e l’empatia di ogni punto di contatto tra diritto e utente diventano fondamentali laddove è essenziale avvicinare i documenti legali al flusso naturale del pensiero umano. L’aspetto legale si deve fondere armonicamente nel processo, come parte integrante di una evoluzione nella quale professionisti diversi lavorano insieme.

Gli studi legali stanno diventando delle media company e, i prodotti generati, passeranno – anche per le aziende loro clienti – da una logica di costo ad una di investimento, rendendo così anche l’ambito legale un vero e proprio elemento del business. Parliamo di output concreti e misurabili, di veri e propri asset. Grazie alla metodologia della Legal Experience possiamo oggi imparare, disimparare, reimparare. Districandoci all’interno di questo percorso, abbiamo a disposizione una cassetta degli attrezzi fatta di grafica, video, gamification, chatbot, infografiche, cartoon, podcast, intelligenza artificiale, algoritmi e software, che ci aiuta a scardinare un mondo legale complesso e poco comunicativo. Un modo chiaro e leggibile di ideare, strutturare e ripensare i contenuti legali. Un processo che permette di creare strategie che mettono al centro di tutto l’interazione tra azienda e cliente, identificando eventuali punti di rottura, favorendo il business e tutelando al contempo l’azienda.

Il diritto deve iniziare a generare nuove fonti di revenue per le aziende, impattando positivamente nella fidelizzazione dei loro clienti, applicando oggi e domani quell’approccio human centric troppo spesso sacrificato. Serve la multi-competenza che, attraverso l’empatia e la comunicazione tra mondi sino ad oggi più che mai distanti, riporti al centro di tutto le persone e il ruolo del diritto. La vera sfida è lavorare sul capitale umano. Far diventare i giuristi empatici, riprendendo la vera interpretazione di quel The first thing we do, let’s kill all the lawyers di Shakesperiana memoria. In quella frase, al contrario dell’apparenza, si intendeva muovere un complimento alla categoria degli avvocati, individuata come ultimo baluardo della chiarezza, della civiltà e della giustizia.

La realtà è che questo approccio non sarà per tutti. Alcuni operatori del diritto non riusciranno nei propri tentativi, altri guarderanno nella direzione sbagliata, altri ancora non si accorgeranno nemmeno del nuovo che li investe, e ne saranno sommersi. È questo un momento in cui chi è più recettivo si sta impadronendo, giorno dopo giorno, degli spazi attualmente occupati dai pachidermi che non sono riusciti ad attuare quella transizione necessaria per farli diventare abbastanza gazzelle.
Secondo l’ipotesi della regina rossa, raccontata da Lewis Carroll, alle volte è necessario correre il più rapidamente possibile per riuscire a rimanere nello stesso posto. Ogni cambiamento fa evolvere una specie, facendone regredire un’altra, in un equilibrio che è dinamico. Esiste, ma cambia di continuo.
Anche gli operatori del diritto devono evolvere, cambiare, crescere, alle volte solo per rimanere nello stesso posto, altre per diventare quelle gazzelle così rapide e leggere.

La formazione come esperienza digitale immersiva

Di Laura Valentini

In un mondo sempre più digitalizzato e tecnologico non è possibile pensare di restare ancorati all’idea tradizionale di formazione in aula.
Una formazione di questo tipo può, tutt’al più, essere vista come l’ennesimo obbligo aziendale da ottemperare per non venire ripresi e per evitare richiami. Va da sé che, così intesa, la formazione non sarebbe un valore aggiunto e non andrebbe più ad incrementare le skills di alcun discente che, anzi, vedrebbe quelle lezioni come noiosi momenti utili solo ad evitare di svolgere le proprie funzioni lavorative.

Anche la formazione deve evolversi. Non si deve più trattare di un mero ascolto passivo, ma di un percorso tematico che preveda un contributo attivo da parte del discente, che così si sentirà parte del progetto e parte della realtà aziendale alla quale appartiene per (almeno) otto ore al giorno.

Anche la formazione deve evolversi. Non si deve più trattare di un mero ascolto passivo, ma di un percorso tematico che preveda un contributo attivo da parte del discente, che così si sentirà parte del progetto e parte della realtà aziendale alla quale appartiene per (almeno) otto ore al giorno. La formazione andrà vissuta e non subìta, come una sorta di meccanismo premiale che ad ogni nuova conoscenza acquisita attribuisca al discente una virtuale coccarda al merito che lo stesso sarà fiero di avere conquistato ed esibirà attraverso una conseguente maggiore efficienza lavorativa.

La formazione non sarà più svolta attraverso corsi in aula con il docente che spiega o legge le slide, e nemmeno potrà consistere in una registrazione su piattaforma di e-learning con domande di verifica a comparizione random, ma sarà organizzata attraverso tool che accompagnino l’utente in un percorso animato ed interattivo alla scoperta della materia del corso. Ogni tappa del percorso insegnerà, in maniera diretta e senza lunghi proclami, i punti fondamentali di ogni argomento, attraverso una forma di gaming basata su domande e risposte con punteggio e premio finale. Non ci sarà bisogno di docenti, né di dedicare intere giornate lavorative alla formazione a discapito della produzione. Il software sarà liberamente fruibile dagli utenti con apposite credenziali, senza imposizioni temporali, se non una mera scadenza complessiva di risoluzione del gioco.

In questo modo l’utente vivrà un’esperienza più coinvolgente e con maggior impatto mnemonico dovuto proprio al fatto che l’interazione con il tool sarà parte fondamentale per progredire nel percorso ed arrivare al traguardo, che oltre ad un gagliardetto consegnerà al discente la giusta conoscenza della materia. La formazione moderna sarà un vero e proprio scenario win-win: un’esperienza in cui vince il discente, diventando più consapevole, preparato e fiero delle proprie nuove competenze, e vince l’azienda, che si troverà ad avere dipendenti e collaboratori più efficienti, stimolati e sereni. Si tratterà di una sorta di learning by doing che coinvolgerà il discente, che vivrà una nuova esperienza interattiva e coinvolgente, e consentirà al contempo all’azienda di tenere monitorato l’avanzamento dei singoli dipendenti/collaboratori con una concreta rendicontazione del livello di preparazione di tutto il team aziendale.

eSports e diritto: la nuova frontiera legale del mondo sportivo


Di Carlo Papalia

Se qualche tempo fa si fosse affermato che il mondo degli eSports sarebbe arrivato a generare un mercato mondiale da un miliardo e mezzo di dollari (con una prospettiva di crescita, entro il 2027 che supera i due miliardi e con un mercato dell’industria complessiva dei videogiochi che supera i 150 miliardi) nessuno ci avrebbe creduto. Questo è ciò che accade quando si fondono due dei motori di interesse più antichi e potenti della storia umana, l’agone sportivo e la performance artistica, grazie alla catalizzazione permessa dall’acceleratore per eccellenza: la tecnologia.

L’antico interesse umano per panem et circenses assume oggi un volto nuovo: grazie agli eSports spettatore e atleta diventano co-protagonisti, in un meccanismo di interdipendenza profonda. La regolamentazione giuridica di questo fenomeno dovrà affrontare prioritariamente tre profili distinti: la natura professionale dell’attività del player, la tutela della proprietà intellettuale, eAdvertising e eDoping.

L’antico interesse umano per panem et circenses assume oggi un volto nuovo: grazie agli eSports spettatore e atleta diventano co-protagonisti, in un meccanismo di interdipendenza profonda. La regolamentazione giuridica di questo fenomeno dovrà affrontare prioritariamente tre profili distinti: la natura professionale dell’attività del player, la tutela della proprietà intellettuale, eAdvertising e eDoping.

Sotto il primo profilo molto è stato fatto, ma siamo comunque lontani da una disciplina esaustiva: dal 2010 a oggi migliaia di giocatori (perlopiù giovani under 25) hanno trasformato la loro passione per i videogiochi in una professione, divenendo pro-players.La nuova categoria professionale degli eAthletes necessita di accordi contrattuali con le squadre, di tutela dei propri dati personali, di assistenza sanitaria e piani pensionistici, di un regime fiscale ad hoc, di associazioni sindacali. La questione si complica ulteriormente nel caso di pro-players minori (ed inesperti) poiché il rischio di abusi da parte di club e team, agenti e enti organizzatori aumenta vertiginosamente. In aggiunta, non avendo gli eventi eSport le caratteristiche dell’attività fisica, questi potrebbero essere svolti in orario notturno e gli allenamenti dedicati (davanti ad uno schermo) potrebbero protrarsi per tempi lunghi pericolosi per la salute del videogiocatore.

Sotto il secondo profilo, quello della proprietà intellettuale, va analizzata la natura stessa degli eSports. Negli sport tradizionali nessun dispositivo o software è in grado di riprodurre fedelmente i movimenti o le abilità di un atleta, infatti la normativa sul diritto d’autore si limita alla sola tutela della rappresentazione audiovisiva delle gare. Negli eSports invece ogni movimento e ogni azione del giocatore è una semplice traduzione di un input dato tramite un controller e pertanto può essere replicato fedelmente senza nessuna limitazione. Fatta questa premessa, è chiaro che la domanda a cui dovrà essere data una risposta (che purtroppo ancora non esiste) sarà: è possibile prevedere una tutela di diritto d’autore per gli atleti di eSports nonostante le loro azioni e abilità siano, di fatto, replicabili?

Sempre sotto il profilo della proprietà intellettuale non va dimenticato il tema dei diritti di trasmissione degli eventi. I software e le piattaforme su cui si svolgono le competizioni sono proprietari: se è il proprietario a trasmettere l’evento non si riscontrano problemi, ma se a farlo fossero organizzazioni o soggetti terzi? Sarebbe possibile definire accordi sulla cessione di diritti di trasmissione nonostante il pericolo di un danno economico ingente per le aziende proprietarie?
Terzo ma non meno importante punto su cui riflettere (ma su cui sicuramente la disciplina è più chiara ed esaustiva) è il tema mai fuori moda della tutela degli asset delle squadre (pensiamo ai marchi), delle federazioni (pensiamo al celebre FIFA che ha cambiato nome in EAsports), dei diritti di immagine dei giocatori reali e dei rapporti con le società che li detengono (una fra tutte, FIFPRO).

Il terzo profilo riguarda la pubblicità e il doping digitale. Gli eSports hanno introdotto per la prima volta (oltre al classico eAdvertising e ciò la pubblicità di prodotti o servizi su piattaforma) una forma di pubblicità chiamata advergaming: il destinatario di queste promozioni è il giocatore stesso che ad un certo momento è invitato a partecipare ad un gioco nel gioco per ottenere aiuti o extra crediti. L’intervento richiesto al legislatore in questo campo è la previsione di un panorama normativo che possa uniformare le iniziative pubblicitarie sulle piattaforme tenendo conto di questi nuovi, complessi profili di (insidiosa) gamification tanto interessanti quanto rischiosi sia per i pro-players che per i dilettanti.

Ultimo tema da affrontare è quello dell’eDoping. La cresciuta competitività negli eSports unita alla grande duttilità della tecnologia ha portato alla nascita di programmi in grado di fornire vantaggi o svantaggi per i giocatori, né più né meno di quanto possono fare le sostanze illecite negli sport reali ma con una grande differenza: nel caso dell’eDoping non esistono elenchi di “sostanze” proibite (come la WADA list) o organi di controllo ma attualmente solo metodi di implementazione dei sistemi di sicurezza delle piattaforme.

Concludendo, l’onere della sensibilizzazione degli utenti e a queste tematiche non ricade solamente sul legislatore. Gli eSports sono utilizzati dai marchi di qualsiasi settore per raggiungere clienti che faticano ad attrarre con metodi di marketing tradizionali: questa opportunità non può prescindere dall’affrontare tematiche legali complesse e genera un mercato legale multimilionario per i prossimi anni. Le aziende proprietarie delle piattaforme, nell’affrontare queste tematiche, hanno il dovere e l’interesse di sperimentare metodi, strumenti e canali in grado di rendere l’esperienza legale dell’utente tanto emozionante quanto lo sono quelle videoludiche di cui sono creatrici.
Pensiamo a come potrebbe essere sensibilizzato un player minore (professionista o no) ad un utilizzo consapevole e assennato del videogioco grazie a sistemi di gamification rewards. Pensiamo a quali vantaggi (in logica di conversione) potrebbe portare un chiara policy di trattamento dei dati personali nelle campagne di eAdvertising che richiedono profilazione. Ancora una volta diventa centrale l’emozione dell’utente basata su un’esperienza e non su una passiva ricezione delle informazioni: questa sarebbe la vera partita da vincere.

Il corso esplora le aree di attività del legal design, disciplina che, grazie al lavoro congiunto di figure professionali eterogenee, punta a rendere la legge accessibile anche a chi non parla la lingua del diritto. Attraverso approfondimenti teorici e casi studio pratici, verranno illustrati i principi cardine che guidano la disciplina del legal design ed esplorate le possibilità della sua adozione a supporto della professione forense.

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