Il gender gap nel mondo tech: come le discriminazioni di genere ostacolano le innovazioni tecnologiche

Nell’ambito dell’informatica e delle innovazioni tecnologiche vige ancora una forte disparità tra uomo e donna. Il cosiddetto gender gap, ovvero la discriminazione di genere, è un problema fin troppo radicato e difficile da estirpare nella nostra società e nel mondo del lavoro. Nel settore tecnologico, questa disparità si nota in modo significativo.

Il divario parte, prima ancora che dal mondo del lavoro, dalle università. Da sempre, il numero di universitarie iscritte a facoltà e corsi di laurea di materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) è vertiginosamente inferiore a quello dei colleghi uomini. La minore rappresentanza femminile e la mancata equità di genere in questo settore non fanno altro che alimentare ancor di più la discriminazione. Con l’aumento dell’utilizzo delle nuove tecnologie in svariati ambiti di applicazione, ad esempio il legal tech o il fintech, e lo sviluppo di tecnologie più sofisticate come l’intelligenza artificiale generativa, possiamo notare in modo evidente che questo gap è qualcosa da riparare, perché la tecnologia sarà sempre più presente nella nostra quotidianità e nel lavoro ed è impossibile non fare i conti con le debolezze che presenta.

Secondo il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum, le donne sono solo il 29.2% di tutti i lavoratori nell’ambito delle materie STEM. Sebbene negli ultimi 5 anni la presenza femminile in ambito tecnologico sia aumentata, sia a livello universitario che lavorativo, si tratta di una tendenza ancora troppo lenta e troppo bassa. Anche le startup sono fondate per oltre il 90% da un uomo, mentre la leadership femminile scarseggia in modo evidente rispetto agli altri ambiti in cui ancora si deve comunque raggiungere la parità. Le donne nel settore tech fanno ancora fatica ad affermarsi e arrivare a ruoli apicali, per cui c’è bisogno di un grande balzo in avanti per chiudere questo divario con la promozione di programmi e politiche concrete.

Nella nostra società digitalizzata e tecnologica, sembra essere una questione anacronistica, eppure persistono in maniera molto forte pregiudizi sociali e psicologici che portano ad una differenza di genere. L’Italia, in particolar modo, è un fanalino di coda anche rispetto alla media europea: solo il 16% delle donne è impiegata nel settore ICT (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione). Non solo le donne, però: i dati mostrano che anche complessivamente i laureati in materie tecnologiche in Europa sono solo il 13% e in Italia il 6,7%.

Nella nostra società digitalizzata e tecnologica, sembra essere una questione anacronistica, eppure persistono in maniera molto forte pregiudizi sociali e psicologici che portano ad una differenza di genere. L’Italia, in particolar modo, è un fanalino di coda anche rispetto alla media europea: solo il 16% delle donne è impiegata nel settore ICT (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione). Non solo le donne, però: i dati mostrano che anche complessivamente i laureati in materie tecnologiche in Europa sono solo il 13% e in Italia il 6,7%.

Ma cosa si può fare per incentivare le donne ad intraprendere una disciplina STEM? Prima di tutto, è necessario cambiare la narrazione che si fa di queste materie, facendole apparire meno “da nerd” e più pratiche, sfatando i miti legati a questi settori, creando la possibilità di avvicinarsi a tali discipline anche in età pre-liceale. Magari, esplorando queste discipline in parallelo con altre materie, è possibile che le studentesse sviluppino una passione o scoprano una capacità nel settore che altrimenti resterebbe celata. Un approccio del genere favorirebbe l’abbattimento delle resistenze delle donne ad impegnarsi in questo campo, sia nel mondo universitario che aziendale. Gli stereotipi di genere, nonostante si stia cercando di invertire in qualche modo la tendenza, persistono nelle scuole: infatti, le ragazze vengono esposte a modelli femminili connessi alle discipline umanistiche, mentre l’immagine maschile è frequentemente associata alle materie STEM. La scuola, e l’università in seguito, deve essere un luogo inclusivo e protetto e deve garantire lo sviluppo dello studente in qualsiasi ambito voglia esprimersi, senza creare dei percorsi già socialmente definiti.

A livello lavorativo, invece, le aziende devono promuovere politiche che facilitino la conciliazione tra vita lavorativa e familiare, per ridurre gli ostacoli che le donne affrontano nel raggiungere posizioni di leadership. Anche se negli ultimi anni, nell’ultimo decennio in particolare, sono stati fatti passi avanti, il divario è ancora terribilmente presente e i dati mostrano che se da oggi le ragazze scegliessero tutte di studiare una materia STEM non si raggiungerebbe la parità nemmeno entro il 2050. Un dato molto grave che ci fa capire quanto siamo indietro, a livello globale ma soprattutto in Italia. Il gender gap provoca seri danni alla società che, in questo modo, perde l’opportunità di sfruttare appieno il potenziale di metà della popolazione (sappiamo infatti che le donne rappresentano oltre la metà della popolazione), e ciò va anche a limitare l’innovazione e la competitività.

Oltre ad essere una questione di equità e parità di genere, eliminare le discriminazioni in questo settore è importante perché funzionale. Gli algoritmi dell’intelligenza artificiale, ad esempio, vengono addestrati su una grande quantità di dati forniti alla macchina da esseri umani. Se questi dati contengono pregiudizi di genere, cosa che è stata dimostrata in modo evidente, l’algoritmo li replicherà, accentuando la disparità. In un futuro in cui i processi saranno più automatizzati e gli strumenti tecnologici verranno impiegati in modo più massiccio, le decisioni che prenderanno saranno inevitabilmente basate su algoritmi discriminatori e quindi commetteranno discriminazioni a loro volta. Ad esempio, gli algoritmi usati per il reclutamento lavorativo, in base ai dati su cui sono istruiti, potrebbero privilegiare i candidati uomini in luogo delle donne. Gli algoritmi e le innovazioni tecnologiche hanno il potere di diffondere gli stereotipi ed è necessario frenare questo processo degenerativo.

Anche l’algoritmo per il passaporto biometrico è addestrato su un dataset composto soprattutto da volti maschili, e ciò potrebbe inficiare il riconoscimento e l’efficienza della macchina. Il bias nei dati che si inseriscono per l’addestramento rischia di portare avanti un modello discriminatorio. In questo modo, le tecnologie rafforzano gli stereotipi e le discriminazioni di genere che preesistono nella società. Un esempio di stereotipo è la voce degli assistenti virtuali, generalmente femminile, che non fa altro che protrarre l’idea che la donna sia accudente e disponibile ad assistere.

La discriminazione delle donne nella tecnologia diventa la discriminazione delle donne da parte della tecnologia. È quello che succede con le intelligenze artificiali generative. La questione è stata sollevata da avvocate e professioniste, che hanno sottoscritto una lettera aperta delle avvocate Anna Cataleta e Sabire Sanem Yilmaz, indirizzata alle istituzioni europee, in cui sono paventati i rischi derivanti dai bias degli algoritmi e incitate le istituzioni affinché si prendano misure adeguate a evitare il dilagare dei pregiudizi.

Gli stereotipi sono da abbattere nello sviluppo di nuove tecnologie così come nella loro rappresentazione. Le aziende che creano e sviluppano strumenti innovativi sono guidate quasi sempre da uomini. Le donne sono sottorappresentate, sono di un numero inferiore e non ricoprono quasi mai ruoli di leadership, oppure sono presenti nei CdA in numero inferiore rispetto agli uomini. Ad acuire questa problematica è anche il gender pay gap, perché non solo le donne impiegate nel settore cybersicurezza e ICT sono in un numero molto inferiore, ma percepiscono anche un salario inferiore del 15% rispetto a quanto guadagnano gli uomini.

Gli stereotipi sono da abbattere nello sviluppo di nuove tecnologie così come nella loro rappresentazione. Le aziende che creano e sviluppano strumenti innovativi sono guidate quasi sempre da uomini. Le donne sono sottorappresentate, sono di un numero inferiore e non ricoprono quasi mai ruoli di leadership, oppure sono presenti nei CdA in numero inferiore rispetto agli uomini. Ad acuire questa problematica è anche il gender pay gap, perché non solo le donne impiegate nel settore cyber sicurezza e ICT sono in un numero molto inferiore, ma percepiscono anche un salario inferiore del 15% rispetto a quanto guadagnano gli uomini.

Bisogna lavorare sulla cultura, estirpare dalla società i preconcetti che dipingono le tecnologie come “cose da maschi” e non “adatte alle donne”. Tutto ciò crea un circolo vizioso che frena le donne dall’inserirsi in questo mondo e intraprendere strade nel settore informatico. Non è detto, inoltre, che le donne laureate in discipline scientifiche trovino poi lavoro in un settore tecnico. Come se non bastasse, le women in tech, ovvero le donne che hanno il coraggio di abbattere e sfidare questi pregiudizi, sono sempre afflitte dalla sensazione che – ancora più di quanto accade in altri ambiti lavorativi – le donne debbano impegnarsi molto di più dei colleghi uomini per arrivare al loro stesso livello, perché generalmente vengono tenute meno in considerazione.

Si crea quindi un meccanismo che vede le donne sempre più lontane e passive e meno partecipi dello sviluppo tecnologico. Il rischio che la discriminazione porta con sé è anche l’aumento di violenze online nei confronti delle donne, già in numero maggiore rispetto agli uomini in quanto vittime di cyber stalking e altri cyber crimini. La percezione che le tecnologie siano discriminatorie incentiva la narrazione che la tecnologia sia appannaggio degli uomini soltanto.

La discriminazione di genere nelle nuove tecnologie contribuisce a mantenere e rafforzare le disuguaglianze esistenti tra uomini e donne. La nuova rivoluzione tecnologica può fare davvero la differenza nella nostra società se le si dà la giusta rotta, partendo ad esempio dal garantire una qualità migliore dei dati utilizzati per gli addestramenti degli algoritmi affinché siano più inclusivi e, per quanto possibile, privi di pregiudizi. È necessario sviluppare una regolamentazione che tuteli i diritti delle persone e prevenga la discriminazione algoritmica. Le donne rischiano di rimanere indietro in settori come la programmazione e la progettazione dei software, in cui si privilegiano sempre gli uomini.

A lungo andare si rischia di tornare indietro sulla parità di genere nel lavoro e appiattire la diversificazione della società, andando a creare strumenti ideati, progettati e omologati da uomini e su uomini. Il mercato del lavoro, inoltre, sarà sempre più tecnologico e dominato dalle innovazioni informatiche: se non si limita il predominio maschile su queste materie, si rischia che le donne non ricevano una sufficiente ed adeguata formazione, riducendo le loro possibilità di trovare occupazione in futuro. Ciò aggraverà in modo significativo il dramma dell’occupazione femminile e la loro marginalizzazione sociale.

Per assistere ad un cambio netto e radicale di questo declino sociale bisogna attuare politiche serie, che segnino una deviazione da questa tendenza in favore di una parità di genere e un’inclusività delle materie STEM nelle scuole e nelle università. Anche le aziende hanno un ruolo fondamentale, oltre a favorire la parità salariale e di impiegati, nel creare nuovi modelli femminili di leadership a cui nuove studentesse possano ispirarsi.

Esistono, inoltre, molte associazioni che promuovono l’avvicinamento delle donne alle materie tecnologiche per abbattere gli stereotipi. Un esempio è l’organizzazione internazionale no-profit Girls Who Code, che incoraggia l’istruzione di giovani ragazze – da bambine delle scuole elementari a studentesse universitarie – nel campo della tecnologia organizzando programmi educativi e summer camps sul coding, la programmazione e la robotica. L’intento è creare una community di giovani appassionate di queste materie e metterle in contatto con donne che lavorano in tali ambiti per avere un supporto e un modello di riferimento. Oltre a fornire una reale istruzione in ambito STEM, questa organizzazione mira all’empowerment femminile in modo da destrutturare la concezione che la tecnologia appartenga solamente agli uomini. Dallo stesso obiettivo sono mosse altre associazioni, come Women in Cybersecurity e Women for Security (organizzazione italiana nata nel 2020), che si occupano di incentivare la presenza delle donne nel settore della cyber sicurezza e hanno creato una rete professionale per rendere il campo più inclusivo.

Il divario di genere esiste nella nostra società, così avanzata e ipertecnologica, e prendere consapevolezza dei rischi che può apportare alla stessa tecnologia è il primo passo per mettere in piedi progetti concreti che mostrino come da un mondo più inclusivo ed equo possano derivare solo benefici e maggiori innovazioni. Colmare il gender gap nella tecnologia e nell’intelligenza artificiale è un processo complesso, ma che bisogna realizzare il prima possibile.


Riferimenti

Donne discriminate dall’IA, lettera aperta alle istituzioni europee – Cyber Security 360

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