La vertiginosa diffusione di Internet, legata all’incremento della digitalizzazione delle aziende e alla nascita di forme d’impresa o di organizzazione del lavoro totalmente digitali, necessita di un particolare sforzo di adattamento da parte del sistema giuridico. Il fenomeno è evidente a tutti i livelli, da quello nazionale a quello europeo, per finire nell’internazionale, e le domande sono sempre le stesse: come cambia il lavoro, quando l’Internet si inserisce nell’equazione? Quali sono i rischi, e come dovremmo affrontare la situazione per governare il cambiamento, anziché subirlo?
Cos’è il lavoro digitale (e perché non è sinonimo di smartworking )
Grazie all’avvento delle tecnologie digitali, anche il panorama lavorativo ha subìto una trasformazione senza precedenti. Concetti come lavoro digitale,
I concetti di
Il lavoro digitale è un concetto più specifico, che si riferisce al coinvolgimento di strumenti e tecnologie digitali come parte fondamentale dell’attività professionale. Questo tipo di lavoro può avvenire in ufficio o in remoto e può riguardare una vasta gamma di settori e mansioni, dal programmatore che scrive codici per un’applicazione, al designer che crea grafiche digitali per una startup, al rider di JustEat che risponde alla piattaforma per lavorare. Tuttavia, questa categoria è la più problematica, poiché il coinvolgimento così pesante delle tecnologie mette in crisi le tradizionali categorie lavorative; è quindi su questa che ci concentreremo all’interno di questo articolo.
Evoluzione del lavoro digitale
Lo studio Lavoro e impresa digitale tra norme nazionali ed economia transnazionale di A. Loffredo ed M. Tufo provvede un’ottima panoramica sull’evoluzione e sulla digitalizzazione del mercato e dell’industria italiana. Non solo ormai le tecnologie vengono utilizzate per l’organizzazione e la velocizzazione dei processi produttivi, ma sono parte stessa del lavoro, e, in alcuni casi, ne sono una parte tanto importante da diventarne quasi i datori. Inizialmente plasmate dalla finanziarizzazione dell’economia, infatti, le imprese si sono ulteriormente ridefinite con l’avvento della società digitale, diventando, in molti aspetti, astratte, liquide e immateriali, fino quasi a sparire dietro ai propri algoritmi.
Lo studio Lavoro e impresa digitale tra norme nazionali ed economia transnazionale di A. Loffredo ed M. Tufo provvede un’ottima panoramica sull’evoluzione e sulla digitalizzazione del mercato e dell’industria italiana. Non solo ormai le tecnologie vengono utilizzate per l’organizzazione e la velocizzazione dei processi produttivi, ma sono parte stessa del lavoro, e, in alcuni casi, ne sono una parte tanto importante da diventarne quasi i datori. Inizialmente plasmate dalla finanziarizzazione dell’economia, infatti, le imprese si sono ulteriormente ridefinite con l’avvento della società digitale, diventando, in molti aspetti, astratte, liquide e immateriali, fino quasi a sparire dietro ai propri algoritmi.
Alcuni tipi di startup hanno proprio i loro dipendenti come oggetto del lavoro, limitandosi a mettere in comunicazione professionisti e acquirenti, o professionisti e aziende: insomma, prestatori di opera e committenti. In un quadro simile è dunque necessario che il giurista si interroghi sulle ripercussioni che questa evoluzione comporta per questi nuovi dipendenti e per i loro rapporti nei confronti di queste nuove aziende, così impalpabili e difficili da categorizzare. O forse non così tanto?
L’Unione Europea e la governance del lavoro digitale
Sebbene ogni Stato abbia individuato alcuni nuclei problematici e li abbia affrontati separatamente, poiché era un’esigenza particolarmente sentita intorno al periodo del Covid-19, la più completa discussione e trattazione di questi temi sembra essere quella che si sta ancora svolgendo all’interno dell’Unione Europea. L’UE, infatti, sta elaborando un intervento organico sul lavoro digitale, e, nel prepararlo, ha enucleato una serie di problematiche da affrontare.
Bisognerebbe innanzitutto affrontare la situazione occupazionale dei lavoratori digitali: la natura flessibile e dinamica del lavoro digitale rende spesso difficile stabilire se un lavoratore debba essere considerato dipendente o autonomo. Questa incertezza può portare a una mancanza di tutele e diritti per i lavoratori, esponendoli a rischi di sfruttamento e precarietà.
Inoltre, le piattaforme di lavoro digitali utilizzano algoritmi per la gestione delle risorse umane, tramite le loro applicazioni o siti web: questo rischia di essere un problema per il trattamento dei dati. Sarebbe necessario che tali algoritmi non possano desumere dati che impatterebbero sulla possibilità di lavorare dell’utente, come dati personali relativi allo stato emotivo o psicologico, o alle conversazioni private. Ovviamente non dovrebbero nemmeno essere utilizzati per prevedere l’attività sindacale reale o potenziale, o per desumere l’origine razziale o etnica, lo status di migrante, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o lo stato di salute di un lavoratore.
Infine, è problematico il fatto che le autorità nazionali spesso incontrino difficoltà nell’ottenere accesso ai dati delle piattaforme digitali e dei lavoratori che ne fanno uso. Questa sfida diventa ancora più complessa quando le piattaforme operano in più Stati membri, poiché risulta poco chiaro dove e da chi venga effettivamente svolto il lavoro tramite tali piattaforme digitali.
Le prospettive future e i trend di evoluzione del lavoro digitale
Insomma, le prospettive del lavoro digitale si muovono verso la sua sempre più ampia diffusione. Secondo l’Osservatorio delle Competenze Digitali, ogni anno la richiesta di professioni ICT cresce mediamente del 26%, con picchi del 90% per le nuove professioni legate alla Trasformazione Digitale, e, anche grazie ai fondi europei, sia l’industria che le Pubbliche Amministrazioni sono spinte verso il mondo del digitale. Secondo i dati UE, “nell’Unione operano circa 500 piattaforme di lavoro digitali, attive in ogni paese dell’UE, e la crescita dell’economia delle piattaforme è illustrata dal fatto che tra il 2016 e il 2020 le entrate di tale settore sono quasi quintuplicate, passando da circa 3 miliardi a circa 14 miliardi di euro”.
Tuttavia, se vogliamo che questo progresso sia sostenibile per i lavoratori, è necessario che le questioni enucleate nel paragrafo precedente vengano affrontate quanto prima. Dal momento che il mercato digitale è così internazionalizzato, per di più, è necessario che esse vengano affrontate a livello europeo. Al momento, è stata presentata una proposta relativa alle nuove norme sul lavoro mediante piattaforme digitali ai due colegislatori, Consiglio e Parlamento europeo. Il Consiglio ha adottato la sua posizione il 12 giugno 2023, ma le nuove norme devono essere negoziate con il Parlamento europeo prima di poter entrare a far parte del diritto dell’UE.